Giuseppe Bezza

Che cos’è l’astrologia classica

Schema 1, Giugno 1986

Che cosa si deve intendere per astrologia classica? conviene una tale denominazione ad un qualsivoglia periodo dell'astrologia? É assai difficile immaginare una risposta affermativa, vengono piuttosto alla mente altre domande: quando e dove possiamo collocare la nascita di una dottrina astrologica a noi documentata? É esistita un'astrologia preclassica, un suo periodo aureo, una sua decadenza? E se, come talora è stato affermato in alcuni periodi della storia delle idee, l'astrologia si è proposta come scienza, può la nostra comprensione accettare il nascere, il declino e lo svanire di una scienza? Inoltre: come potremmo chiamare noi scienza una semeiotica delle apparenze che ci sembra il parto di un animosum pectus, più che della mens e della ratio? Di tali parti degli antichi, già da tempo è stata fatta giustizia, richiamando la sentenza di Terenzio: mala mens, malus animus. Ma se volessimo ancora proseguire e rivolgessimo la nostra attenzione agli scritti degli antichi astrologi, rimarremmo sconcertati di fronte alla sovrabbondanza e all'estrema varietà dei procedimenti. Questi procedimenti, che possiamo ancor oggi leggere in una vastissima letteratura manoscritta greca, latina e araba, provengono, noi presumiamo, da un corpus dottrinario egizio e mesopotamico, ma gli antichi sono di diverso parere.

Dove è nata questa pretesa scienza siderale che ha inteso unire la contemplazione della suprema bellezza dei cieli a rigorose leggi fisiche sulle apparenze visuali, quasi negando la drammatica dicotomia di Shelley fra poesia e scienza? É pur vero che, se della decadenza dell'astrologia possiamo ragionevolmente discutere, in quanto a noi vicina e comunque evidente, del suo primo manifestarsi non ci è dato sapere. Tuttavia rimaniamo confusi di fronte alle candide e ingenue dichiarazioni degli antichi sugli inventori dell'astrologia. Quando s. Agostino chiama Atlante magnus astrologus (de Civitate Dei 18,39; cfr. Plinio nat. hist. 2,31; 7,203; Vitruvio 6,10,6; Diodoro S. 3,60,2; 4,27,1) riprende la dottrina evemeristica che trasforma in sapienti gli eroi del mito, ma non solo Atlante: Urano, Belo, Toth, Prometeo, Atreo, il centauro Chirone divulgarono anch'essi l'astronomia agli uomini (cfr. Jo. Chr. Heilbronner, Historia Matheseos universae a mundo condito ad saeculum post Chr.n. XVI, Lipsiae 1742, 54s.). Ancora s. Agostino ci dice che Atlante era coevo di Mosè, il quale era a sua volta, lo sappiamo da Filone, matematico, astronomo, geometra, musico e filosofo eccellente ed apprese dai vicini Assiri la scienza caldea dei cieli (vita Mosis 1,23). Ma ancor prima di Mosè fu Abramo ad insegnare matematica e astronomia agli Egizi, che ne erano allora ignari (Berosso, in Giuseppe Flavio, antiquitates 1,8,2; cfr. Eusebio, praep.ev. 9,16). Erano questi uomini, che avevano ricevuto la scienza dei cieli tramite rivelazione.

Accanto ad una tradizione che vuole l'astronomia e l'astrologia insegnate dagli angeli ribelli (cfr. Libro di Enoch 8,4), i Greci ritenevano generalmente che esse fossero state rivelate dagli dei ai "re cari alla divinità" (Luciano, De Astrol. 1; cfr. Achille Tazio isag. 1), dunque per dono divino, munere caelestum, come dice Manilio (1,26). Rivelazione delle leggi naturali che producono le stagioni e i mutamenti della vegetazione, rivelazione dell'emanazione o influsso sempiterno che dal cielo si estende naturalmente ad ogni legge fisica e morale terrena, sia essa collettiva o individuale. Che l'uomo abbia percepito in un epoca a noi remota una simile intima cognatio tra cielo e terra e che ad essa si sia in tutto conformato, non possiamo dubitare: l'imperatore cinese, nella sua qualità di figlio del cielo, davanti al cielo era responsabile degli errori dei suoi ministri. Non diversamente ogni sovrano, in ogni epoca, in ogni luogo, ha sempre sentito la necessità di appoggiare il proprio diritto divino sull'osservazione meticolosa del rito sacro. Ma quali le conoscenze astronomiche svelate? Senza dubbio primitive, ma anche più complesse di quanto si possa supporre. Se oggi ciascuno sa che la Terra gira intorno al Sole, questa stessa nozione nuoce alla piena comprensione dei fenomeni apparenti. Se l'astronomia e l'astrologia hanno a lungo formato un tutto indissolubile, sì che sovente l'una indica l'altra e viceversa, allo stesso modo ogni legge dell'astronomia degli antichi, dagli eccentrici alla trepidazione dell'ottava sfera, si pone come legge fisica e naturale, impronta (episêma) di una legge celeste, fondamento del giudizio e della previsione in quanto scopo ultimo dell'astronomo, il philalêthês, l'amante della verità.

«Gli uomini originari e antichissimi - afferma Aristotele - hanno colto queste cose nella forma del mito, e in questa forma le hanno trasmesse ai posteri, dicendo che questi corpi celesti sono divinità, e che la divinità circonda tutta quanta la natura. Il resto è stato aggiunto dopo, sempre sotto forma del mito, per persuadere i più, ed è stato impiegato per imporre l'obbedienza alla legge e per ragioni di utilità. Dicono infatti che quegli esseri divini sono simili agli uomini e ad altri animali, ed altre cose aggiungono, che derivano da quelle o sono ad esse molto simili. Se tuttavia separassimo queste aggiunte e cogliessimo soltanto il contenuto originario di quelle credenze, ovvero che ritenevano divinità le sostanze prime, dovremmo allora convenire che essi hanno parlato in modo divino...» (Metaphysica 1074b). Chi sono questi uomini antichissimi, palaitatoi anthrôpoi? Sono, come leggiamo in Omero, gli abitanti della città di Troia (Il. 11,166) o i contemporanei di Servio Tullio (Plutarco De fortuna Rom. 323e) ? A noi sembrano quei palaioi anthrôpoi di cui dice Platone che inventarono i nomi delle cose (Crat. 441b), palaioi, appunto, perché appartengono al tempo del mito e non sono collocabili in alcuna dimensione temporale.

Se volessimo invece domandarci quando appare per la prima volta in Occidente un sistema compiuto di previsione fondata su fenomeni astronomici, possiamo dire che Berosso, Epigene e Critodemo sono i primi astrologi a noi noti. Si ritiene oggi che Critodemo abbia preceduto il leggendario Petosiride, la cui vita è stata trasportata dai filologi dal VII al I secolo a.C., mentre al contrario si stima che Critodemo sia vissuto nel sec. III a.C.; in tal modo gli stessi Antioco d'Atene, Prassidico, Timeo, Sarapione Alessandrino, Teucro sarebbero contemporanei del sacerdote egizio.

Ma quel che qui ci preme sottolineare è che gli astrologi dell'età ellenistica sono soliti precisare, tra i loro predecessori, gli archaioi e i palaioi. I primi sono coloro che hanno principiato a trattare dell'astrologia, i secondi coloro che l'hanno inventata e nominata per la prima volta. Dei primi si conosce il nome e la vita terrena, ma i secondi sono avvolti nel mito, sono in una dimensione atemporale, come l'Ermete dai mille volti, «a cui i nostri antenati hanno dedicato le invenzioni della loro sapienza» (Giamblico De mysteriis 1,1; cfr. 8,4); sono coloro che hanno per primi stabilito i nomi dell'arte, come ad esempio il nome di agathodaimôn (bonus genius) all'undicesimo luogo (V. Valens p. 135.2 Kroll), ovvero i nomi e gli attributi che vengono fatti risalire ad Ermete Trismegisto (Rhetorio, Cat.Cod.Astr.Graec. VIII,IV 126-174). Ne abbiamo un esempio in Efestione di Tebe: Panchario non è fra gli archaioi, né fra i palaioi, giacché è suo contemporaneo, ma Porfirio (I, 157.1 Pingree), Antigono di Nicea (I, 162-163), Doroteo (I, 263.10-11), i saggi Egizi che lo hanno preceduto (I, 258.19) sono fra gli archaioi. Palaioi al contrario sono i primi ad aver osservato le figure delle stelle (Tolomeo Quadr. 1,2 Boll-Boer 8.9), la natura dei pianeti (ibid. 1,4 B.B. 17.8; 1,5 B.B. 19.24) e delle stelle inerranti (ibid. 1,10 B.B. 30.7), palaios è il manoscritto che Tolomeo tiene fra le sue mani (ibid. 1,21 B.B. 49.14).

Per gli astrologi ellenistici posteriori al II sec. gli archaioi sono quindi i loro predecessori storici. Questi, a loro volta, fondano la loro dottrina richiamandosi ai palaioi (Haephestio I,120.25), tra i quali una figura primeggia, quella di Petosiride, palaios per antonomasia (cfr. scholia in Cl. Pto. quadr. Wolf p.111). Siamo pertanto di fronte a tre diverse epoche dell'astrologia: gli antiqui, i veteres, i novi. Tra i novi una figura spicca, non solo per la compiutezza della sua dottrina o per la sua precisa conoscenza dei moti, ma soprattutto per una nuova concezione ed un nuovo metodo dell'arte della previsione astronomica: Claudio Tolomeo, nel secondo capitolo del terzo libro del Quadripartitum rinunzia al modo antico (archaios) della previsione, che consiste nella «qualità commista di tutti o della maggior parte degli astri e se qualcuno volesse compierlo con cura si rivelerebbe multiforme e pressoché infinito» (B.B. 109.5-7).

Questo modo della predizione è quello degli antichi Egizi i quali infatti «seguivano un metodo carico di configurazioni particolari, tali da apparire infinite, difficili ad afferrare e a comprendere» (In Cl. Pto. enarrator ignoti nomiis Wolf p.89).

Questi diversi modi del procedere (agôgai) degli antichi, difficili a sciogliersi, enigmatici, come dichiarava V. Valente (p. 242.20 Kroll), costituiscono per gli astrologi novi la tradizione. Di fronte ad essa, molti cercano di spiegarla, come Vettio Valente, lasciando nondimeno l'arte nel solco di una secreta sapientia. Non abbandonare il procedere della tradizione significa conservarne la ricchezza; significa altresì parlare la sua lingua, che non è quella dei filosofi, dei naturalisti, degli uomini di scienza. Diversa è l'attitudine di Tolomeo; egli non esprime un rifiuto netto e globale verso la tradizione, al contrario: i termini tecnici che egli usa sono i medesimi dei veteres e scopo di Porfirio nella sua introduzione è di spiegarli ai contemporanei (isag. Wolf 181). Ma egli è filosofo e scienziato e preferisce seguire una via naturale, interpretando «con un metodo pertinente alla filosofia» (quadr. 1,1; Boll-Boer 3.6-7) le configurazioni e i moti degli astri che la conoscenza dell'astronomia ci offrono, pur se ciò dovesse comportare un parziale abbandono della tradizione.

In tal modo Tolomeo appare a noi novissimus astrologus. Egli dichiarò che la previsione si compone di matematica e di fisica, le quali sono la parte dimostrativa dell'arte, e di filosofia, che ne è la parte conclusiva. Nel prosieguo dell'astrologia di lingua greca dopo Tolomeo continueranno a convivere elementi antichi e nuovi. Nel IV secolo Paolo d'Alessandria segue Tolomeo al punto di ricomporre una seconda volta la sua Isagoge, ma non può dimenticare i "saggi Egizi". Efestione tebano parafrasa il Quadripartitum e aggiunge ad ogni capitolo metodi, opinioni ed aforismi degli archaioi. Nel V secolo Rhetorio, che mostra di riconoscere la purezza del metodo tolemaico della previsione, nella sua Istruzione per l'interpretazione delle natività (Cat.Cod.Astr.Graec. VIII, 1,243-248) dà per ogni giudizio diverse autorità.

Ci sia concesso di passare oltre alle diverse fasi ed epoche in cui è stata professata la tecnica della previsione astronomica. Fra di esse non v'è omogeneità, lo sviluppo storico è in qualche sorta contrario allo sviluppo omogeneo del pensiero umano. Nondimeno, nella tarda grecità l'astrologia è considerata come «scienza matematica che rivela le concatenazioni del destino» (Salustio, de diis et mundo 9,4) e come tale rimarrà nel corso di lunghi secoli. Arte e scienza matematica, non un'empirica opinione incerta della falsità del contrario. "Quan-do milioni di uomini hanno per migliaia di anni condiviso un'opinione, è da presumere che questa opinione così universalmente accettata si appoggiasse su fatti positivi, su una lunga teoria di osservazioni giustificate dall'evento": in questo modo il conte d'Altavilla vuole comprovare alla giovane Alicia la credenza al fascino, in questo modo si cerca talora di difendere e salvare la credenza nelle stelle. Tuttavia non di simili giustificazioni necessita una scienza. Tra il XVI e il XVII secolo, a fianco di un'astrologia naturale che spiega ancora legittimamente, dopo la "rivoluzione copernicana", figure e moti apparenti degli astri giungendo fino al pronostico del tempo, un'altra astrologia patisce discredito e nei suoi professori e nei suoi uditori: «Non sapendo con quale titolo espressivo di ingiuria potessero più violentemente sterparla, la chiamano giudiciaria» quantunque «ogni qualunque arte scientifica essendo ordinata a fine di conoscere qualche proposto oggetto per via, e mezzanità delle cagioni di esso, come disse il Filosofo, Scire est rem per causam cognoscere etc., certo che tal cognitione altro non è che un sillogismo, et argomento, nel quale dalle propositioni antecedenti premesse manifeste, e conosciute, si deduce la conclusione e il giudicio che era incognito» (Titi, Tocco di paragone...19-20).

Prima che Newton divulgasse la legge della gravitazione universale, il pensiero scientifico ha conosciuto ed accettato un'altra e diversa legge universale della natura. Questa legge universale della natura era astrologica (L. Thorndike, The True Place of Astrology in the History of Science, Isis 1954 p.273). Questa legge si basa sull'assunto che la natura intiera è governata e diretta dal moto dei cieli e dei corpi celesti e che l'uomo, in quanto animale naturalmente generato e vivente nel mondo naturale, è posto per natura entro questa legge. In tal modo l'astrologia è scienza vera e naturale quanto la filosofia: «É naturale poiché investiga gli effetti naturali, quali si producono nel corpo naturale da queste loro proprietà, che sono naturali nelle stelle... É scienza dimostrativa se ragiona de' siti, e moti de' corpi celesti, e delle quantità e passioni loro, come dell'Eclissi, e del nascer del Sole; ma se tratta degli effetti, che si cagionano dalle Stelle in queste nostre cose inferiori, le quali essendo mutabili possono in diversi modi impedire le operationi et influenze del Cielo, ella è scienza congetturale, come a ragione la chiama s. Tomaso..." (Titi, op.cit. 1-3). Non intendiamo parlare dei secoli a noi più vicini: da quando si venne legittimando una proteica dimensione della cultura subalterna, lì furono collocati i disordinati residui di un'astrologia in fuga. Ma tutto ciò è posteriore ai nostri interessi. Fino a tutto il Rinascimento l'astrologia fa parte della cultura scientifica e partecipa delle vicissitudini del pensiero umano. Qualche tempo prima della chiusura della scuola d'Atene, l'egizio Rhetorio fonda, sull'autorità degli archaioi e del metodo di Tolomeo, un'attitudine sincretistica del procedere che sembra anticipare il dotto enciclopedismo bizantino.

Se Rhetorio rappresenta l'ultima grande figura dell'astrologia greca, il nascere dell'astrologia araba riprenderà idealmente una simile attenzione alla tradizione degli archaioi e l'amplificherà a dismisura grazie alla conoscenza delle culture dei popoli assoggettati all'islamismo. La moderna storiografia precedente alle grandi guerre ritenne che l'avvento dell'aristotelismo nella cultura islamica, intorno all'VIII-IX secolo, rappresentò un freno alla speculazione astrologica (c.a. Nallino, Raccolta di scritti editi e inediti, Roma 1944, T.5, p.20). In realtà è proprio vero il contrario. come presso i Greci e i Latini, anche nella cultura araba non è mai esistita una separazione tra l'astronomia e l'astrologia, ma entrambe costituiscono una sola scienza, al-nujûm. Albumasar giustifica il carattere scientifico dell'astrologia sulla base della filosofia naturale di Aristotele e dichiara l'astrologia scienza compiuta e perfetta in senso aristotelico. Le maggiori autorità dell'Introductorium in Astronomiam di Albumasar sono Aristotele, Tolomeo ed Ermete (cfr. R.J. Lemay Abû Ma'shar and Latin Aristotelianism..., Beirut 1962, 41s). Sono queste le figure emblematiche della scienza astrologica durante tutto il Medioevo.

Fino a tutto il XVI secolo l'astrologo è soprattutto un filosofo che interpreta i moti del cielo e le leggi della natura, egli è astronomo e fisico, non di rado medico, e si considera discepolo di Tolomeo, di Galeno, di Aristotele, il suo pensiero è il pensiero di un classico. Aristotelico fu d'altronde considerato Tolomeo e dagli astrologi arabi e da quelli medievali e rinascimentali, aristotelici i fondamenti di Albumasar e di al Kindi, aristotelica la formazione fisico-filosofica degli astrologi del Medioevo e del Rinascimento. Ma quando alle considerazioni razionali comincerà a venir attribuito, contrariamente all'opinione di Aristotele, un grado di certezza maggiore di quello offerto dall'osservazione sensibile, colei che era la regina delle scienze viene detronizzata e messa al bando. Siamo alla metà del Seicento, la fisica aristotelica entra in una crisi lenta e inarrestabile che preannuncia l'illuminismo, eppure assistiamo ad una delle più significative interpretazioni della dottrina astrologica di Tolomeo fondata su una lettura aristotelica del Quadripartitum ad opera di Placido Titi. Quando Luigi XVIII fuggiva davanti all'aquila imperiale, il principe di Condé ritenne di doversi informare se Sua Maestà avrebbe nondimeno compiuto il lavacro dei piedi nell'umile albergo del villaggio, dove i tempi infelici l'avevano gettato il giorno dell'anniversario della cerimonia.